Il realismo sentimentale di Daria Picardi
Il percorso artistico di Daria Picardi è ritmato da un’alternanza di periodi di costante dedizione all’arte ad altri più rarefatti, per varie circostanze di vita. Ma non è venuta mai meno in lei la consapevolezza di essere pittrice da cui non l’hanno fatta recedere né la laurea in architettura, che faceva presagire un’attività professionale specifica, né le problematiche familiari di cui le donne in particolare sono solite caricarsi. E’ comunque anche molto frequente il caso di architetti pittori per quel comune sentimento dell’arte che lega pittura e architettura che, non a caso, in passato costituivano una categoria unitaria. Michelangelo docet. E’ altresì vero che la formazione universitaria ha lasciato una traccia ben visibile nella pittura della Picardi, soprattutto nell’uso dell’impianto prospettico, nella rigorosa impaginazione compositiva e nell’attitudine sistematica allo studio, da quello per la resa delle ombre a quello dell’anatomia umana, nei gradi che vanno dalla grafite all’acquerello per giungere all’olio su tela.
Classica è definibile la sua produzione in relazione sia ai “generi” predominanti (paesaggio, veduta, natura morta di frutti e fiori, ritratto), sia ai parametri estetici adottati, quali simmetria, ponderazione e proporzione. Tuttavia nella sua opera non ci troviamo di fronte ad una altrettanto classica mimesi idealizzante né, del resto, ad un realismo tout court. Tutti i soggetti della sua pittura sono investigati con affettuosa sollecitudine e resi al meglio pur senza snaturarli. E’ questo sguardo d’affetto l’elemento che emerge nell’analizzare l’opera nel suo insieme. I volti conservano certo la fisionomia della persona ritratta ma l’artista, con sguardo d’amore, li ha come addolciti. I paesaggi e le vedute di Roma, pur nella loro verità oggettiva, sono ammantati da una luminosità particolare. Si potrebbe quasi utilizzare, per questi dipinti, la definizione di “realismo magico”, già coniata da Massimo Bontempelli per quel gruppo di pittori da Ferruccio Ferrazzi a Carlo Socrate, da Riccardo Francalancia a Edita Broglio, da Francesco Trombadori ad Antonio Donghi, attivi a Roma a partire dagli anni Venti e Trenta.
Il riferimento a Bontempelli, del resto, è suggerito da un importante dato biografico della pittrice: l’aver appreso la pittura proprio da Socrate. Era infatti ancora una studentessa liceale quando Carlo Socrate l’accolse tra gli allievi che frequentavano il suo studio a Villa Strohl-Fern. Anni decisivi furono quelli per la Picardi che dette prova di una eccezionale propensione per la pittura, anche senza la preparazione di base, dal momento che frequentava il Liceo Classico. Ancora oggi un gruppo di oli, tra i quali l’interno e il porticato esterno dello studio del Maestro ed una veduta della villa, testimoniano di quegli anni. Opere mature, nonostante la giovane età, che dimostrano già una scelta di campo, nella preferenza di colori tenui e gessosi e nella resa delle atmosfere, silenti e rarefatte, vive e palpitanti non già per la presenza delle persone ma per quanto esse hanno lasciato nel loro passaggio.
E’ interessante notare che la Picardi, dopo essersi già presentata al pubblico con grande apprezzamento anche di critica, alla scomparsa del suo maestro, nel 1967, ha ripiegato in se stessa rimanendo lontana dalle mostre per lunghi anni. Esigenza di elaborazione del lutto per un personaggio così significativo per la sua storia d’artista? Fatto sta che la Picardi è tornata al suo pubblico quando, non più allieva, si è sentita completamente autonoma. E questa autonomia si evince dal sottile cambiamento della sua pittura da “realismo magico” a “realismo sentimentale”. Bontempelli diceva: «Precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo, e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, attraverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta …In questo senso l’arte deve dominare la natura, in questo senso abbiamo parlato di ‘magia’, e abbiamo chiamato l’arte nostra ‘realismo magico’». Tale definizione è solo in parte applicabile all’opera della Picardi, perché quella stessa ‘precisione realistica dei contorni’ e quella ‘solidità di materia ben poggiata sul suolo non sono rarefatti da un’atmosfera di magia bensì da un caldo sentimento d’affetto. Daria Picardi ama la sua Roma, ama i familiari e gli amici che ritrae, ama quei frutti che mette sulla sua tavola, ama la vita in tutte le sue manifestazioni. Lavorando rigorosamente dal vero, tra lei e l’oggetto da rappresentare si instaura quel legame sentimentale che addolcisce il reale senza però idealizzarlo.
Analizzando l’opera della Picardi per soggetti, va propedeuticamente sottolineato che la sua mano è sempre perfettamente riconoscibile, per l’uso prevalente dei colori freddi animati da tonalità di fondo rosate, per la predilezione verso il quotidiano offerto sia dai volti di figli ed amici, sia da angoli di Roma che nessun tour operator inserirebbe nel suo cammino, sia da fiori e frutti presenti nelle nostre case e senza nessuna pretesa di esotismo.
E’ interessante l’importanza che l’artista assegna all’ambiente di cui registra, scrupolosamente, non solo lo spazio e gli oggetti in esso collocati, ma soprattutto la luce, con uno scrupolo di matrice impressionista.
Riguardando ai ritratti del figlio e della figlia, i complessi piani del fondo, siano essi definiti dalla parete e dai divani o dal vetro di una finestra aperta con tutti i suoi riflessi, sottolineano il temperamento dei due giovani e ne tradiscono la pensosità. Anche nel ritratto di Lucio Battisti (1998) determinante è il fondo, qui offerto non già da uno spazio fisico, ma da una ripresa della figura dell’artista, a sottolinearne la complessa personalità.
Di Roma Daria Picardi ama tutto, anche le zone apparentemente meno interessanti e marginali ma nelle quali lei scopri il fascino e il mistero, come le archeologie industriali presso il Ponte dell’Industria dove, nel 2000, ha immortalato intonaci scrostati dal tempo e un verde inselvatichito che d’ultimo sono stati azzerati da restauri discutibili. Il suo sguardo ama abbracciare ampie zone tentando talvolta la resa panoramica, sia attraverso serie di dipinti in sequenza sia vere e proprie ampie vedute come in “Roma e il suo fiume” del 2003, che abbraccia da Ponte Milvio a San Pietro, con ripresa dalla terrazza dell’Osservatorio Astronomico di Monte Mario.
La natura morta, o meglio la natura silente come la chiamava De Chirico, rappresenta per la Picardi una sorta di esercitazione di stile, come dimostrano le composizioni plurime dello spesso soggetto, quali “Le pere” del 1989, o le ricerche tono su tono come i “Peperoncini” del 1998, in cui il rosso dei peperoncini affoga nel rosso del fondo.
Non mancano nell’opera della Picardi anche temi sociali e religiosi, come “I bambini ci guardano: speranza e redenzione” o “Ave Maria” realizzato per commemorare il 150° anniversario della promulgazione del Dogma dell’Immacolata Concezione. Queste opere nascono da una meditata analisi del tema che si evince dalla complessità compositiva. Il “metodo” dell’artista è sempre e comunque lungo e laborioso. E se per il paesaggio, il ritratto e la natura morta ella adotta scrupolosamente la ripresa dal vivo, per queste opere, frutto di una elaborazione concettuale, affida ai singoli elementi, dal filo spinato alle espressioni dei volti, dalla gamma cromatica alla luce metafisica, di chiarire e stigmatizzare la complessità dell’assunto.
Percorso complesso quello della Picardi, ma che, nonostante le intermittenze, si presenta incredibilmente omogeneo per una concezione della pittura come prova alta di impegno prima di tutto personale, poi professionale ed infine affettivo, in una visione di continuità dal passato ma sempre verso il nuovo. Esempio calzante di questo modo di concepire la pittura è “Isola Tiberina” del 2004, giustamente premiato nella III edizione del Premio Nazionale di Pittura Città di Fondi. L’artista, che certo ha visto e meditato sulle varie vedute dell’isola, da quella quasi metafisica di Francalancia a quella dalle calde tonalità di Trombadori, ne offre una visione personalissima per le gradazioni di colore verdastro, così tipiche di tanta sua pittura, e per lo sguardo non immemore della moderna ottica grandangolare.
La pittura della Picardi è dunque pittura dell’oggi ma che vive l’oggi sottraendolo alla visione pop e trash per recuperarlo ai sentimenti di amore, di rispetto e di compassione. Ed è per questo che ci piace definirla con l’espressione “realismo sentimentale”.
Stefania Severi, gennaio 2005